Copyright e Diritto d’autore

Vorrei iniziare a trattare l’argomento con una banalità: sappiate che Copyright e Diritto d’Autore sono la stessa cosa detta in due lingue diverse, proprio come mela e apple. Lo dico soprattutto per me, nel caso inizi a pasticciare con le parole. Detto questo, è chiaro che se vi ho trascinato in questo articolo, indipendentemente da quello che sapete o pensate, sono convinto che la questione vi interessi e interessa il mondo dei videogiochi.

Il copyright è tornato alla ribalta diverse volte, da che mi ricordi. Sono nato nel secolo scorso e… scrivere questa cosa mi fa sentire particolarmente croccante… Sono nato nel 1976. Nella mia vita ho visto tornare alla ribalta la questione dei diritti d’autore più volte, ma in un paio di casi la faccenda fu particolarmente delicata. Una prima volta, era a fine anni ’80 quando ero più o meno adolescente e si sentiva di dispute proprio in merito al software, al fatto che girassero dischetti di programmi copiati che nessuno pagava. I più giovani, probabilmente, non hanno mai avuto per le mani un autentico floppy disk. Erano identici all’icona che si usa, tutt’ora, per salvare i dati… Si: viene proprio da lì. Poi arrivò internet, all’improvviso. Il giorno prima non c’era e il giorno dopo ce l’avevano un po’ tutti. Era un’impressione, ovviamente, ma neanche tanto falsa, soprattutto a livello aziendale. La questione copyright scoppiò ancora una volta, ma era legata al mondo della musica. Con internet arrivarono, infatti, i primi server di file sharing e, con loro, la possibilità di ascoltare musica senza più comprare CD musicali… Si: usavamo i compact disc per ascoltare musica, aggeggi esteticamente del tutto indistinguibili dai DVD. Con l’introduzione del formato MP3, server come Napster, che oggi definiremmo pirata, iniziarono a diventare sempre più popolari e finirono per danneggiare l’industria.

Quando ne parli in giro, sembra che il problema del copyright sia nato con la Microsoft e con Bill Gates che si è permesso, da quel demonio che è, di porre il problema a livello mondiale, grazie anche alla sua influenza nel mondo del software. Scoprirete che, in qualità di aspiranti venditori di videogiochi, voi, Bill Gates, dovete solo che ringraziarlo. In realtà il problema del copyright è molto più antico e non nasce né con internet né con il software. Si tratta, invece, di un problema secolare, che riguarda tutte quelle opere che, d’ora in poi, chiameremo intellettuali o d’ingegno, perché scaturiscono dalla fantasia e dalla creatività umane. Il problema del copyright, probabilmente è nato con la scrittura stessa, quella cuneiforme fatta su tavolette di argilla. La faccenda che accomuna queste opere sta nel fatto che il loro valore sta nella loro originalità e nel loro contenuto, che trascende la singola copia. Pensate ad un libro come La Divina Commedia di Dante Alighieri, morto prima ancora dell’invenzione del transistor… Chi le crea, non necessariamente ha le capacità di sfruttarle economicamente e, quindi, sarebbe in costante posizione di svantaggio nel caso non fosse protetto dalla legge. Immaginate un mondo in cui sia possibile copiare qualsiasi cosa. Un brillante scrittore partorisce uno splendido libro. Un balordo riccone lo intercetta, ne vende milioni di copie e diventa ancora più ricco, senza riconoscere nulla allo scrittore. Questo sarebbe un mondo che non riconosce i diritti all’autore che, a questo punto, molto probabilmente, non creerebbe più nulla o terrebbe tutto per sé chiuso in un cassetto. A titolo aneddotico, abbiamo rischiato di ritardare di molto l’evoluzione tecnologica perché un certo sir. Isaac Newton aveva il vizio di tenere per sé i risultati dei suoi studi, senza un vero motivo, a parte il suo noto caratteraccio. Fu solo grazie al suo amico Edmond Halley (si, quello della cometa) che, alla fine, il Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, cioè il libro che per la prima volta nella storia annunciò le scoperte newtoniane al mondo, fu pubblicato. E’ grazie ai contenuti di quel libro se oggi abbiamo gran parte della tecnologia che ci circonda. Senza, può essere che qualcun altro ci sarebbe arrivato in un secondo momento, ma poteva essere anche che fossimo tutt’ora a cavallo come in un vecchio film western: nessuno può saperlo. Ad ogni modo, questo è il rischio che si corre quando si induce la gente a seppellire le proprie idee.

In sintesi, il mondo è fatto dai creativi e questo lo sanno bene anche i Governi. Prima del XVIII secolo, un vero e proprio diritto d’autore non esisteva ancora, ma c’erano già forme di privilegi a tutela di librai e scrittori, anche se erano limitati allo Stato di appartenenza. Se una copia del libro varcava i confini di Stato, non era più protetta. Inoltre, non tutti gli stati garantivano in tal senso. Con il senno di poi, in un mondo globalizzato, una data molto più importante nel nostro caso è quella del 1886, in cui fu adottata la Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche. Questo trattato internazionale, per la prima volta nella storia, garantiva protezione alle opere oltre il confine del proprio Stato. Una delle particolarità della Convenzione di Berna è che riconosce il diritto esclusivo di sfruttamento dell’opera al suo autore in modo automatico, dal momento della sua pubblicazione. Inutile dire che, ad oggi, esistono altri trattati internazionali dello stesso tipo e che la Convenzione di Berna ha subito, più volte, un rimaneggiamento per aggiornarla ai tempi moderni. La convenzione di Berna è sottoscritta nel 2025 da 181 stati membri, a fronte dei 193 riconosciuti dall’ONU. Si può asserire, quindi, che esiste una protezione globale attorno alle opere d’ingegno, anche se non è proprio totale né sempre del tutto automatica.

Noi, in quanto creatori di software, siamo particolarmente interessati. La convenzione di Berna, infatti, per successive interpretazioni, grazie anche all’interesse e l’intervento di tante aziende del settore, prima tra tutte la Microsoft di Bill Gates, è oggi garante anche per il software, parificato alle opere letterarie. In altre parole, i vostri videogiochi, ricollegandoci all’articolo precedente, non sono né prodotti né servizi, ma opere intellettuali che, come tali, sono protette da diritto d’autore. Piccola parentesi fuori tema: come ben saprete, esiste tutto un mondo di software open-source. Va detto che l’autore di software, in quanto detentore dei diritti, è liberissimo di rinunciarvi pubblicamente e farne dono alla collettività. Quindi, il diritto d’autore non lede in alcun modo il software libero, lascia in capo al singolo programmatore, però, il diritto di decidere le sorti della sua creatura.

Chi ci dice, però, che il software è realmente protetto da diritto d’autore anche in Italia? L’ art. 2, comma 8 della Legge 22 aprile 1941, n.633 e successive modificazioni. La legge, di per sé, è vecchiotta, ma si è aggiornata nel tempo. Il link lo trovate in fondo alla pagina, nella sezione apposita, ed è un link verso un sito Istituzionale, per diradare tutti i dubbi a riguardo. E’ la legge Italiana che, in recepimento di quanto nella Convenzione di Berna, riporta nella Legislazione Nazionale sostanzialmente le stesse cose. Il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, invece, chiarisce, all’art. 1 che “L’imposta sul valore aggiunto (IVA, n.d.r.) si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate“, all’art.2 specifica cosa si intenda per beni e all’art. 3, che “…licenze e simili relative a diritti d’autore effettuate dagli autori e loro eredi o legatari…” non sono considerati prestazioni di servizi. In burocratese, il diritto d’autore è, quindi, esente da IVA e non serve una partita IVA, ovvero un’attività, per sfruttarlo.

Sembra quasi di essere entrati in contraddizione con quello che abbiamo detto nell’articolo precedente: questi videogiochi come vanno venduti, allora? Con IVA o senza IVA? Ho scritto un intero articolo sul come, ed è il prossimo. Piccolo indizio: il diritto d’autore sul videogioco non ha a che vedere con il singolo esemplare, ma con tutte le copie disponibili sul mercato.

Copyright e Diritto d’autore

Vorrei iniziare a trattare l’argomento con una banalità: sappiate che Copyright e Diritto d’Autore sono la stessa cosa detta in due lingue diverse, proprio come mela e apple. Lo dico soprattutto per me, nel caso inizi a pasticciare con le parole. Detto questo, è chiaro che se vi ho trascinato in questo articolo, indipendentemente da quello che sapete o pensate, sono convinto che la questione vi interessi e interessa il mondo dei videogiochi.

Il copyright è tornato alla ribalta diverse volte, da che mi ricordi. Sono nato nel secolo scorso e… scrivere questa cosa mi fa sentire particolarmente croccante… Sono nato nel 1976. Nella mia vita ho visto tornare alla ribalta la questione dei diritti d’autore più volte, ma in un paio di casi la faccenda fu particolarmente delicata. Una prima volta, era a fine anni ’80 quando ero più o meno adolescente e si sentiva di dispute proprio in merito al software, al fatto che girassero dischetti di programmi copiati che nessuno pagava. I più giovani, probabilmente, non hanno mai avuto per le mani un autentico floppy disk. Erano identici all’icona che si usa, tutt’ora, per salvare i dati… Si: viene proprio da lì. Poi arrivò internet, all’improvviso. Il giorno prima non c’era e il giorno dopo ce l’avevano un po’ tutti. Era un’impressione, ovviamente, ma neanche tanto falsa, soprattutto a livello aziendale. La questione copyright scoppiò ancora una volta, ma era legata al mondo della musica. Con internet arrivarono, infatti, i primi server di file sharing e, con loro, la possibilità di ascoltare musica senza più comprare CD musicali… Si: usavamo i compact disc per ascoltare musica, aggeggi esteticamente del tutto indistinguibili dai DVD. Con l’introduzione del formato MP3, server come Napster, che oggi definiremmo pirata, iniziarono a diventare sempre più popolari e finirono per danneggiare l’industria.

Quando ne parli in giro, sembra che il problema del copyright sia nato con la Microsoft e con Bill Gates che si è permesso, da quel demonio che è, di porre il problema a livello mondiale, grazie anche alla sua influenza nel mondo del software. Scoprirete che, in qualità di aspiranti venditori di videogiochi, voi, Bill Gates, dovete solo che ringraziarlo. In realtà il problema del copyright è molto più antico e non nasce né con internet né con il software. Si tratta, invece, di un problema secolare, che riguarda tutte quelle opere che, d’ora in poi, chiameremo intellettuali o d’ingegno, perché scaturiscono dalla fantasia e dalla creatività umane. Il problema del copyright, probabilmente è nato con la scrittura stessa, quella cuneiforme fatta su tavolette di argilla. La faccenda che accomuna queste opere sta nel fatto che il loro valore sta nella loro originalità e nel loro contenuto, che trascende la singola copia. Pensate ad un libro come La Divina Commedia di Dante Alighieri, morto prima ancora dell’invenzione del transistor… Chi le crea, non necessariamente ha le capacità di sfruttarle economicamente e, quindi, sarebbe in costante posizione di svantaggio nel caso non fosse protetto dalla legge. Immaginate un mondo in cui sia possibile copiare qualsiasi cosa. Un brillante scrittore partorisce uno splendido libro. Un balordo riccone lo intercetta, ne vende milioni di copie e diventa ancora più ricco, senza riconoscere nulla allo scrittore. Questo sarebbe un mondo che non riconosce i diritti all’autore che, a questo punto, molto probabilmente, non creerebbe più nulla o terrebbe tutto per sé chiuso in un cassetto. A titolo aneddotico, abbiamo rischiato di ritardare di molto l’evoluzione tecnologica perché un certo sir. Isaac Newton aveva il vizio di tenere per sé i risultati dei suoi studi, senza un vero motivo, a parte il suo noto caratteraccio. Fu solo grazie al suo amico Edmond Halley (si, quello della cometa) che, alla fine, il Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, cioè il libro che per la prima volta nella storia annunciò le scoperte newtoniane al mondo, fu pubblicato. E’ grazie ai contenuti di quel libro se oggi abbiamo gran parte della tecnologia che ci circonda. Senza, può essere che qualcun altro ci sarebbe arrivato in un secondo momento, ma poteva essere anche che fossimo tutt’ora a cavallo come in un vecchio film western: nessuno può saperlo. Ad ogni modo, questo è il rischio che si corre quando si induce la gente a seppellire le proprie idee.

In sintesi, il mondo è fatto dai creativi e questo lo sanno bene anche i Governi. Prima del XVIII secolo, un vero e proprio diritto d’autore non esisteva ancora, ma c’erano già forme di privilegi a tutela di librai e scrittori, anche se erano limitati allo Stato di appartenenza. Se una copia del libro varcava i confini di Stato, non era più protetta. Inoltre, non tutti gli stati garantivano in tal senso. Con il senno di poi, in un mondo globalizzato, una data molto più importante nel nostro caso è quella del 1886, in cui fu adottata la Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche. Questo trattato internazionale, per la prima volta nella storia, garantiva protezione alle opere oltre il confine del proprio Stato. Una delle particolarità della Convenzione di Berna è che riconosce il diritto esclusivo di sfruttamento dell’opera al suo autore in modo automatico, dal momento della sua pubblicazione. Inutile dire che, ad oggi, esistono altri trattati internazionali dello stesso tipo e che la Convenzione di Berna ha subito, più volte, un rimaneggiamento per aggiornarla ai tempi moderni. La convenzione di Berna è sottoscritta nel 2025 da 181 stati membri, a fronte dei 193 riconosciuti dall’ONU. Si può asserire, quindi, che esiste una protezione globale attorno alle opere d’ingegno, anche se non è proprio totale né sempre del tutto automatica.

Noi, in quanto creatori di software, siamo particolarmente interessati. La convenzione di Berna, infatti, per successive interpretazioni, grazie anche all’interesse e l’intervento di tante aziende del settore, prima tra tutte la Microsoft di Bill Gates, è oggi garante anche per il software, parificato alle opere letterarie. In altre parole, i vostri videogiochi, ricollegandoci all’articolo precedente, non sono né prodotti né servizi, ma opere intellettuali che, come tali, sono protette da diritto d’autore. Piccola parentesi fuori tema: come ben saprete, esiste tutto un mondo di software open-source. Va detto che l’autore di software, in quanto detentore dei diritti, è liberissimo di rinunciarvi pubblicamente e farne dono alla collettività. Quindi, il diritto d’autore non lede in alcun modo il software libero, lascia in capo al singolo programmatore, però, il diritto di decidere le sorti della sua creatura.

Chi ci dice, però, che il software è realmente protetto da diritto d’autore anche in Italia? L’ art. 2, comma 8 della Legge 22 aprile 1941, n.633 e successive modificazioni. La legge, di per sé, è vecchiotta, ma si è aggiornata nel tempo. Il link lo trovate in fondo alla pagina, nella sezione apposita, ed è un link verso un sito Istituzionale, per diradare tutti i dubbi a riguardo. E’ la legge Italiana che, in recepimento di quanto nella Convenzione di Berna, riporta nella Legislazione Nazionale sostanzialmente le stesse cose. Il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, invece, chiarisce, all’art. 1 che “L’imposta sul valore aggiunto (IVA, n.d.r.) si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate“, all’art.2 specifica cosa si intenda per beni e all’art. 3, che “…licenze e simili relative a diritti d’autore effettuate dagli autori e loro eredi o legatari…” non sono considerati prestazioni di servizi. In burocratese, il diritto d’autore è, quindi, esente da IVA e non serve una partita IVA, ovvero un’attività, per sfruttarlo.

Sembra quasi di essere entrati in contraddizione con quello che abbiamo detto nell’articolo precedente: questi videogiochi come vanno venduti, allora? Con IVA o senza IVA? Ho scritto un intero articolo sul come, ed è il prossimo. Piccolo indizio: il diritto d’autore sul videogioco non ha a che vedere con il singolo esemplare, ma con tutte le copie disponibili sul mercato.

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