Se vogliamo muoverci all’interno del mondo della programmazione di videogiochi, capire il gergo che lo contraddistingue potrebbe essere un ottima idea. Per esempio: che significa essere un programmatore indie? La risposta breve è che solo dio lo sa… Può sembra un po’ eccessivamente filosofica, ma andiamo per ordine e capirete perché.
Diciamo che, ad un certo punto della storia dell’informatica, attorno agli anni ’80 e ’90, sono iniziati a spuntare qua e la videogiochi prodotti non dai soliti grandi nomi, come EA Games o Microsoft, ma anche da aziende molto più piccole, certe volte formate da un solo, audace sviluppatore. Stiamo parlando degli anni ’80, periodo in cui erano ancora molto diffusi computer storici come lo ZX Spectrum e il Commodore 64. Quegli sviluppatori li ho definiti audaci perché, all’epoca, gli strumenti di sviluppo erano davvero rudimentali, non molto lontani dal linguaggio macchina puro. Eppure, qualcuno ci provava. Ricordo, con un certo affetto, la Cosmi, l’azienda statunitense che ha dato i natali al famoso gioco Forbidden Forest, per Commodore 64 e Atari 8-bit. Quella era un epoca in cui era molto semplice distinguere uno sviluppatore indie dagli altri: se non eri parte di una multinazionale, eri indie, ovvero indipendente.
In quel periodo, come ancora oggi, tentare di entrare in concorrenza diretta con uno dei grandi nomi, era praticamente impossibile. Quindi, una caratteristica che distingueva i giochi indie da quelli delle grandi multinazionali erano meccaniche innovative, piuttosto che grafica spinta (rapportata all’epoca) o ricchezza dei contenuti, semplicemente perché un singolo programmatore o una piccola squadra, non avrebbero mai potuto competere con i grandi nomi se non inventando qualcosa di veramente audace e diverso dalla norma.
L’arrivo dei game engine ha sicuramente democratizzato il settore, rendendo più semplice la programmazione per via dell’aumento di produttività che segue l’uso di strumenti creati appositamente per lo sviluppo di videogiochi, come Unreal Engine, Unity o Godot che semplificano molto la vita, grazie anche a tutti i tool che si portano dietro.
C’è da considerare, però, che alcune di quelle che una volta erano case di sviluppo indipendente, sono riuscite nel tempo a crearsi un loro nome e ad emergere e oggi hanno un fatturato che, pur non essendo multimilionario come quello delle multinazionali di settore, è comunque di tutto rispetto. Quindi: qual è il momento esatto in cui un’attività smette di essere indie e si trasforma in una vera e propria azienda? Chiaramente, il confine netto non c’è. Ad ogni modo, anche tenendo presenti quelli che sono i luoghi comuni della rete, proviamo a creare una specie di tassonomia.
Micro-Indie
Questa categoria sarebbe composta da hobbisti o team molto piccoli formati da poche persone che si autofinanziano. A mio parere, questa è l’unica categoria, insieme alla successiva, che dovrebbe ancora portare l’etichetta indie. Si tratta, per inciso, del genere di sviluppatori a cui mi rivolgo e di cui, probabilmente, fai parte. Questi sviluppatori costituiscono una parte sostanziale del mercato dei giochi, rappresentando oltre il 50% della presenza nei negozi online, in particolare su Steam, da cui provengono la maggior parte dei dati che ho analizzato. Incarnano ancora la nozione più romantica dell’artista maledetto, il creatore che si dedica con passione al proprio lavoro, a qualunque costo purché non di natura squisitamente economica… Sfortunatamente, sono anche gli sviluppatori che hanno i guadagni più bassi tra tutti visto che, mediamente, vendono meno di 300 copie e, molte volte, neanche raggiungono le 100. Di solito si affidano agli acquisti d’impulso, rilasciando giochi a prezzi molto bassi, intorno ai $5 o anche meno.
Indie Classici
Credo che questa categoria si qualifichi ancora come indie, anche se coinvolge sviluppatori disposti a correre più rischi rispetto ai micro-indie. Come tipologia, sono molto più vicini agli sviluppatori indie originari. Chiamarli hobbisti forse è troppo poco, ma etichettarli come professionisti è anche troppo. Si collocano da qualche parte nel mezzo. Si tratta di piccole startup o studi appena nati che riescono a raccogliere alcuni fondi, tramite autofinanziamento o crowdfunding, investendo risorse anche nel marketing, fin quando possibile. In genere riescono a racimolare guadagni intorno ai $10.000. Se si tiene conto che, nel mondo occidentale, questa cifra è meno del corrispettivo lordo annuale dell’operaio medio, è chiaro che queste attività, più che navigare nell’oro, annaspano per sopravvivere.
Indie Premium (o Indie AA)
E qui sarebbe meglio iniziare a parlare di aziende, più che di sviluppatori indie, secondo me. Praticamente parlando, sono indipendenti come la pizzeria in fondo alla strada, nel senso che, ovviamente, possono decidere in autonomia come gestirsi. Per il resto, sono vere e proprie attività commerciali, magari piccole, ma in prospettiva ben finanziate e con personale competente, un team in grado di gestire più progetti contemporaneamente con capacità di generare entrate annuali superiori a $50.000 per videogioco. Non sono giganti come Microsoft o Ubisoft, ma funzionano praticamente allo stesso modo, solo più in piccolo.
Indie Supportati da Editori
In questo caso, parliamo di attività simili alle precedenti, ma che instaurano una partnership con un editore che, solitamente, si occupa della parte commerciale, spesso anche del finanziamento. In pratica, succede che un ente con competenze tecniche ed uno con competenze commerciali si alleano per portare a termine un progetto. Naturalmente, queste partnership nascono tra aziende consolidate e quindi, a parte il modello economico, finiscono per funzionare come una multinazionale, solo con due dirigenze differenti al posto di una unica. Tutto ciò si traduce in opere che possono guadagnare milioni di dollari, esattamente come per le multinazionali storiche. Stiamo parlando di collaborazioni in grado di sviluppare e mantenere in vita videogiochi di classe AAA senza troppe difficoltà. Rimane poco, quindi, dell’artista maledetto: questi sono tecnici specializzati e molto ben finanziati e organizzati.
Conclusioni
Chi sono gli indie, quindi? Probabilmente un retaggio del passato, qualcosa che si è estinto nel tempo evolvendosi in qualcos’altro, lentamente e senza quasi lasciare tracce. Anche se gli sviluppatori solitari esistono ancora, è chiaro che, in questo panorama, sono ancora più in difficoltà rispetto ai primi veri indie, sebbene gli strumenti di sviluppo si siano evoluti nel tempo. Le statistiche parlano chiaro: si tratta dei maggiori produttori di videogiochi in assoluto, ma anche i peggiori in termini di incassi.
C’è poi questa storia dei game engine come Unreal offerti gratuitamente dagli stessi store online. Sarà peccato pensarlo, ma c’è la chiara sensazione che tutto ruoti intorno ai grandi studi. Sembra come se i piccoli creatori di videogiochi siano lì solo con lo scopo di dare la sensazione di un qualcosa di più grande, ma che alla fine servano per far risplendere, ancora di più, le opere delle grandi marche. Del resto, stiamo parlando di una vecchia strategia di mercato tutt’ora in voga: vi basta raggiungere il supermercato più vicino per constatare che, i prodotti migliori e più costosi, sono sempre al centro della scena, esattamente davanti ai vostri occhi.