Nel momento in cui scrivo, sto riorganizzando il mio sito originario, redatto in englishstan, che sarebbe poi un’approssimazione dell’inglese. Visto che l’interesse verso la commercializzazione dei miei videogiochi sta scemando e, contestualmente, cresce un interesse puramente accademico, ho pensato di sbarazzarmi di una lingua estera che parlocchio, ma non padroneggio del tutto, in favore della lingua madre, quella con cui c’ho scritto pure un romanzo e che, quindi, mi mette a mio agio. Il restyling del sito originale ha fatto le sue vittime, nel senso che qualcosa è stato cassato perché non più utile allo scopo. In altre parole, sto convertendo quello che voleva essere un sito pseudo-commerciale, in uno totalmente hobbystico e personale.
Questo lavoro, però, mi pareva brutto cestinarlo. Ho pensato che, visto che era praticamente pronto, richiedendo giusto qualche ritocco, la traduzione e una riscrittura rinfrescante, valeva la pena di tenerlo per chi ne avesse avuto bisogno, considerando che è nato proprio perché io, nel momento del bisogno, non ho trovato nulla di simile… Come nasce? Dai tempi del Commodore VIC20, acqua sotto i ponti ne è passata, mi sono spuntati i capelli bianchi e sono riuscito a maturare abbastanza da mettere in piedi un videogioco intero: il Pinbot. Dovrebbe essere ancora su Steam, più per fare curriculum che per altri motivi, ormai. Se non c’è, vuol dire che questo articolo è diventato vecchiotto e va letto cum grano salis.
Il Pinbot è nato dall’esigenza di mettere me stesso alla prova con un vero progetto, mentre stavo studiando Godot, questo game engine open-source che prometteva cose da urlo. Avevo iniziato a capire la sua filosofia di base, ma so benissimo che l’unico modo per imparare ad utilizzare un nuovo strumento, di qualsiasi tipo sia, è impegnarsi in un vero progetto. Finché si fanno prove il rischio di indorarsi, involontariamente, la pillola è molto grosso. Se invece ci si impegna in un progetto vero, arriva sempre ed inesorabilmente il momento in cui ci si incaglia da qualche parte e bisogna spremere le meningi per venirne fuori. Così ho pensato: “Che gioco faccio?” E mi sono risposto: “Faccio un breakout 3D. Chi se ne frega!? Mica devo venderlo?” Invece tutto ha preso una strana piega e, alla fine, mi sono ritrovato con questo gioco per le mani che, da un lato mi convinceva poco, perché si trattava pur sempre dell’ennesimo break-out, dall’altro mi rendeva orgoglioso per com’era venuto. Così, con lo spirito disincantato di chi gioca una schedina di totocalcio, ho deciso di dargli una possibilità e pubblicarlo su Steam ed Epic Games, i due store online più grandi tra quelli specializzati nel settore.
Proprio la pubblicazione è stata una sorpresona megagalattica, un treno merci stracolmo di rotture di scatole che… Se vi mancano i santi sul calendario, è colpa mia. Questo lavoro nasce un po’ come resoconto, un po’ per aiutare chi volesse provare l’esperienza della pubblicazione di un gioco. Dovete sapere che il mio carattere mi impedisce di prendere le cose troppo alla leggera, certe volte scadendo persino nel grottesco: non riesco a fare le cose così, tanto per farle. Quando, quindi, mi sono impegnato nella pubblicazione… bè, volevo capire tutte le virgole, ovviamente. Ho scoperto che le virgole non le capiva nessuno o quasi e ci sono rimasto, anche, discretamente male. Quindi, ho provato a mettere un po’ di ordine nel caos…
Il risultato è questo piccolo editoriale che, in un certo senso, vuole essere una sorta di guida generale alla pubblicazione, di sicuro non del tutto esaustivo, ma sufficiente a non farvi trovare del tutto impreparati (spero) di fronte al lavoro che vi aspetta. Deve essere ancora più chiaro che io, non sono né un commercialista né un avvocato e che, quindi, tutto quello che trovate scritto all’interno di questo lavoro deve essere considerato alla stregua di una guida informativa di massima, un aiuto a muovere i primi passi nella pubblicazione che, necessariamente e soprattutto in caso di successo, richiederà la consulenza degli esperti di settore.