Vendere, in pratica

Nell’articolo precedente, ci siamo lasciati con un dilemma mica da poco: abbiamo stabilito che per vendere un prodotto serve una partita IVA, ma anche che il software è un’opera intellettuale e che la cessione di opere d’intelletto sono esenti da IVA. C’è qualcosa che non va. Soprattutto, si capisce che qualcosa non torna quando si va per cataloghi di giochi online, se ne compra uno e scopri che ti addebitano l’IVA del 22%. Ma allora questa imposta, con i videogiochi, si paga o non si paga? Se te la fanno pagare, vuol dire che si paga, evidentemente… Va bene un furbo ogni tanto, ma mica tutto il mondo, no?

L’arcano trova soluzione quando ci si rende conto che il diritto d’autore protegge l’opera, non il singolo esemplare… Facciamo un esempio con un libro, perché il mondo tutto virtuale del software può far girare la testa. Un libro, di quelli fatti di carta alla vecchia maniera, è due cose: in quanto blocco di carta è un prodotto, ma è un’opera d’ingegno o di intelletto se si considera il suo contenuto. Tutto qui. Ecco, quindi, che quando ne comprate uno, vi portate via una risma di carta che, fosse linda, la paghereste molto di meno, a pensarci bene. Quello che pagate di più è proprio l’opera d’ingegno, le informazioni che ogni libro si porta dietro. Quindi, si: bisogna pagarci l’IVA in quanto prodotto. La stessa cosa succede con il software. Il giocatore che acquista una copia del gioco, paga l’IVA su quella copia: dal suo punto di vista è un prodotto e niente di più, anche se è tenuto a rispettarne il diritto d’autore evitando di farne copie. E’ dal vostro punto di vista di sviluppatori che il videogioco è un’opera di ingegno e da quello di chi deve chiedervi il permesso di poterlo pubblicare.

Tirando le somme, come si fa a vendere senza partita IVA? La risposta è molto semplice: vi serve un socio d’affari che la partita IVA ce l’ha! Banale, no? In questo modo è lui ad intrattenere il lavoro di vendita del prodotto con il cliente finale, mentre a voi spetteranno i proventi da diritto d’autore o royalties che dir si voglia, solitamente riconosciuti come una percentuale sugli incassi. Scendendo più nel dettaglio, voi non potrete mai vendere una copia del vostro gioco senza una partita IVA a nessuno, neanche da un vostro sito web personale! (mi raccomando a quest’ultimo aspetto) A dirla tutta, questa cosa di ricevere compensi per il vostro lavoro non si chiama neanche vendita, ma piuttosto corrispettivo per lo sfruttamento dell’opera a fini commerciali che, come sancito dalla legge, è pienamente nei vostri diritti. A dirlo è la stessa Legge 22 aprile 1941, n.633 già citata nel lavoro precedente, questa volta all’art. 12. In altre parole, potete autorizzare qualcuno a sfruttare la vostra opera dietro compenso, il che presuppone una qualche forma di contratto tra voi e il vostro socio. Se avete capito come funziona il gioco, allora avrete compreso che, in questo modo, come legge prevede, l’acquirente finale paga l’IVA allo Stato, il vostro socio prende la sua parte di compenso per il lavoro commerciale e voi il vostro per il lavoro intellettuale e tutto, finalmente, inizia ad avere un senso.

Store online

Cerchiamo di andare al sodo e parliamo un po’ degli store online, con cui avremo a che fare. Che rapporto si instaura tra noi e loro? Iniziamo con una precisazione: perché abbiamo tenuto fuori quelli che hanno una partita IVA? La motivazione è pratica: parlando di creatori di videogiochi, in un sito come questo, è abbastanza chiaro che ci si riferisce soprattutto ai piccoli creatori, intesi come piccoli gruppi spontanei se non singole persone. Di solito, chi ha una partita IVA godrà di un servizio di assistenza da un professionista, primo tra tutti il commercialista di cui non potrà fare a meno. Il fatto di poter provare ad entrare nel mondo commerciale dei videogiochi senza aprire una partita IVA è un indubbio vantaggio, da sfruttare quando si è alle prime esperienze. Generalmente parlando, la partita IVA in se, in quanto codice, è gratuita, ma si porta dietro tutta una serie di spese di cui non parleremo, che la rendono poco appetibile se non si ha già un certo giro di affari o se non si è costretti da altre motivazioni, alcune delle quali sbucheranno in seguito.

Cosa succede, quando si propone un nostro gioco per la vendita ad uno store online? In questo lavoro, useremo Steam come esempio quasi onnipresente, un po’ perché ho esperienza diretta (che non guasta nel mio ruolo di scrittore) un po’ perché Steam, va dato atto, è lo store che pubblica una mole di dati eccezionalmente elevata, in merito a statistiche sulla vendita e sull’uso dei giochi ospitati dalla sua piattaforma.

Un’altra importante precisazione: nei rapporti internazionali, le transazioni tra aziende, anche individuali, sono discretamente complicate. In questo sito non ho la pretesa di sostituirmi a commercialisti o avvocati, ma cerco di dare solo nozioni di massima su quali siano gli aspetti che si vanno ad affrontare nei rapporti con gli store online. Quindi, per scelta, non tratterò affatto i rapporti tra store online e partite IVA, ma mi limiterò solo a dare un’idea di massima di cosa succede nei rapporti con privati che pubblicano solo in forza del loro diritto d’autore.

Registrazione

Quando si propone un proprio gioco a Steam, lo si fa attraverso una piattaforma automatizzata via web. Ci sarà una fase di registrazione che possiamo definire burocratica a cui seguirà una fase più tecnica, legata all’upload dei files del vostro gioco. Per motivi di riservatezza, non posso mostrare schermate del back office di Steam, nonostante ne abbia accesso: lo so, ce chi lo fa, ma non possiamo parlare di legalità ed infrangerla un paragrafo dopo, no? Dicevo: il processo di iscrizione e caricamento non è assolutamente complicato. La parte più ostica è quella relativa al questionario fiscale che, per inciso, è uguale per tutti gli store americani, semplicemente perché vi collegano direttamente con l’IRS, controparte statunitense della nostra Agenzia delle Entrate. Il questionario non è altro che la versione elettronica del modulo W-8BEN-I, specifico per le persone fisiche. Aggiungo anche che è bene masticare un minimo di inglese, ma credo che un programmatore non dovrebbe avere grossi problemi.

A parte le solite cose, tipo nome, cognome e Stato di provenienza, l’unico elemento che potrebbe lasciarvi basiti è il TIN. Di cosa si tratta? TIN sta per Tax Identification Number e non è un codice preciso, ma piuttosto, un’idea. Voi ce l’avete a vostra insaputa. Quindi, a domanda, rispondete pure di si. Successivamente, vi verrà chiesto che tipo di TIN avete: il vostro è un Foreign TIN, ovvero un TIN straniero e non è altro che… Il vostro Codice Fiscale. Scoprirete che non vi vengono applicate tasse sui proventi da diritto d’autore. Ne parliamo dopo.

I proventi delle vendite

In conseguenza del fatto che vi presentate come privati e non avete un’attività formale, Steam si occuperà di tutti gli aspetti della vendita, ivi compreso l’applicazione dell’IVA all’utente finale ed il pagamento agli Stati aventi diritto. Il problema più grosso che dovrete affrontare è che Steam, in quanto azienda straniera, non può fungere da sostituto d’imposte nei vostri confronti. Spiego meglio. Il fatto che non dobbiate gestire l’IVA, non significa che siate esenti dal pagamento delle tasse. Le tasse dovrete pagarle eccome ed, in particolare, nel vostro Paese di residenza: l’Italia. Senza portarla troppo per le lunghe, esattamente come succede per la comune busta paga del lavoratore dipendente, dovrete pagare l’IRPEF sulle somme ricavate. L’IRPEF è l’Imposta sui Redditi delle PErsone Fisiche e si paga semplicemente (si fa per dire) con il modello 730. Vi serve l’aiuto di un commercialista, ovviamente. Il fatto che, alla fonte, non vi siano applicate ritenute sulle royalties è dovuto ad una serie di accordi internazionali che sanciscono proprio che i proventi da diritto d’autore vengono tassati nel Paese di residenza dello stesso. Se Steam fosse stata italiana, avrebbe potuto prendersi carico anche di questo aspetto della faccenda, rendendovi solo il netto di tutta l’operazione commerciale, pagando anche l’IRPEF per vostro conto.

Attenzione alle insidie

Dopo aver fornito un’idea generale di come si instaura un rapporto tra un privato, detentore dei diritti d’autore di un videogioco, e uno store online, mi preme fare un paio di precisazioni. Stiamo parlando del mondo dei videogiochi, un mondo in cui, nel tempo, sono emersi tutta una serie di modi diversi con cui guadagnare soldi. Mi riferisco, in pratica, agli acquisti in app, alla pubblicità, all’abbonamento. In parte abbiamo già risposto a questo quesito, ma è bene ritornarci.

In sintesi, tutti quelli elencati in precedenza, sono considerati servizi e se avete seguito tutto fino a qui, sapete che la risposta è no: non potete utilizzare queste forme di commercio senza partita IVA. Sono solo le royalties ad essere fuori campo IVA, non tutto il resto. Di conseguenza dovrete starne alla larga.

Un altro chiarimento va fatto in merito ai giochi multiplayer. In linea di principio potete crearli e venderli, come gli altri, ma sapete che non potrete chiedere abbonamenti per un eventuale server. Ne consegue che l’unica strategia commercialmente accettabile è quella che prevede le lobbies, ovvero quel genere di multiplayer caratterizzato da sessioni di pochi giocatori in cui uno di loro, di solito il primo ad aprire la sessione di gioco, è anche colui che la ospita più o meno coscientemente, con il suo computer.

Conclusioni: atto I

Con questo articolo, andiamo a chiudere quella che potremmo definire la sezione legale di questo editoriale. Da qui in poi, ci tufferemo in questioni più… come dire? Filosofiche. Dopo tutte le informazioni che avete ricevuto, dopo tutto quello che vi è stato illustrato, se credete di poter fare tutto da soli… Tornate al primo articolo e ricominciate a leggere da capo: non avete capito niente.
L’intento di questo lavoro non è quello di creare persone piene di sé, convinte di poter gestire tutto davvero da sole: internet ne è pieno e non ci serve proprio di fabbricarne di nuove. Casomai, l’esatto contrario. Quando ho tirato fuori leggi e regolamenti vari, c’era un sottotesto in sovraimpressione, per la verità con un alpha prossimo a zero, ma che poteva essere letto aguzzando la vista: il mondo del commercio è complicato. Se conoscete la lingua italiana, dare un’occhiata preliminare alle leggi, non dovrebbe essere un problema: pure quelle sono scritte in italiano.
Chiedetevi, però: cosa c’è in tutte le altre? Ed ecco il vero valore di un commercialista o di un avvocato fiscalista: loro hanno qualcosa che a voi manca: una visione d’insieme. In altre parole, torna quello che continuo a dire in giro per chat: non sei un programmatore se sai programmare in C++, ma lo sei se hai una visione d’insieme di quella che è la programmazione e sei in grado di scegliere lo strumento giusto al momento giusto, quello che ti rende più produttivo e che sembra più pratico per il lavoro che stai facendo. Se ne parlo promovendo ad esempio un mondo a voi più consono, sembra banale. Ecco che, se devi fare un videogioco, probabilmente la scelta migliore è l’uso di un game engine, nonostante è chiaro che potresti scriverlo (in via del tutto teorica) direttamente in linguaggio macchina, ma… sul serio?
La stessa cosa può dirsi degli altri professionisti.

Quindi, sempre ed in ogni situazione, è proprio il caso di fare due chiacchiere con il commercialista, prima di partire con questa impresa. Adesso, però, dovreste saperne abbastanza per poter comunicare con lui, fargli capire davvero quello che vi serve, invece di fare una figuraccia da autentici pirla. Tutto qui.

Vendere, in pratica

Nell’articolo precedente, ci siamo lasciati con un dilemma mica da poco: abbiamo stabilito che per vendere un prodotto serve una partita IVA, ma anche che il software è un’opera intellettuale e che la cessione di opere d’intelletto sono esenti da IVA. C’è qualcosa che non va. Soprattutto, si capisce che qualcosa non torna quando si va per cataloghi di giochi online, se ne compra uno e scopri che ti addebitano l’IVA del 22%. Ma allora questa imposta, con i videogiochi, si paga o non si paga? Se te la fanno pagare, vuol dire che si paga, evidentemente… Va bene un furbo ogni tanto, ma mica tutto il mondo, no?

L’arcano trova soluzione quando ci si rende conto che il diritto d’autore protegge l’opera, non il singolo esemplare… Facciamo un esempio con un libro, perché il mondo tutto virtuale del software può far girare la testa. Un libro, di quelli fatti di carta alla vecchia maniera, è due cose: in quanto blocco di carta è un prodotto, ma è un’opera d’ingegno o di intelletto se si considera il suo contenuto. Tutto qui. Ecco, quindi, che quando ne comprate uno, vi portate via una risma di carta che, fosse linda, la paghereste molto di meno, a pensarci bene. Quello che pagate di più è proprio l’opera d’ingegno, le informazioni che ogni libro si porta dietro. Quindi, si: bisogna pagarci l’IVA in quanto prodotto. La stessa cosa succede con il software. Il giocatore che acquista una copia del gioco, paga l’IVA su quella copia: dal suo punto di vista è un prodotto e niente di più, anche se è tenuto a rispettarne il diritto d’autore evitando di farne copie. E’ dal vostro punto di vista di sviluppatori che il videogioco è un’opera di ingegno e da quello di chi deve chiedervi il permesso di poterlo pubblicare.

Tirando le somme, come si fa a vendere senza partita IVA? La risposta è molto semplice: vi serve un socio d’affari che la partita IVA ce l’ha! Banale, no? In questo modo è lui ad intrattenere il lavoro di vendita del prodotto con il cliente finale, mentre a voi spetteranno i proventi da diritto d’autore o royalties che dir si voglia, solitamente riconosciuti come una percentuale sugli incassi. Scendendo più nel dettaglio, voi non potrete mai vendere una copia del vostro gioco senza una partita IVA a nessuno, neanche da un vostro sito web personale! (mi raccomando a quest’ultimo aspetto) A dirla tutta, questa cosa di ricevere compensi per il vostro lavoro non si chiama neanche vendita, ma piuttosto corrispettivo per lo sfruttamento dell’opera a fini commerciali che, come sancito dalla legge, è pienamente nei vostri diritti. A dirlo è la stessa Legge 22 aprile 1941, n.633 già citata nel lavoro precedente, questa volta all’art. 12. In altre parole, potete autorizzare qualcuno a sfruttare la vostra opera dietro compenso, il che presuppone una qualche forma di contratto tra voi e il vostro socio. Se avete capito come funziona il gioco, allora avrete compreso che, in questo modo, come legge prevede, l’acquirente finale paga l’IVA allo Stato, il vostro socio prende la sua parte di compenso per il lavoro commerciale e voi il vostro per il lavoro intellettuale e tutto, finalmente, inizia ad avere un senso.

Store online

Cerchiamo di andare al sodo e parliamo un po’ degli store online, con cui avremo a che fare. Che rapporto si instaura tra noi e loro? Iniziamo con una precisazione: perché abbiamo tenuto fuori quelli che hanno una partita IVA? La motivazione è pratica: parlando di creatori di videogiochi, in un sito come questo, è abbastanza chiaro che ci si riferisce soprattutto ai piccoli creatori, intesi come piccoli gruppi spontanei se non singole persone. Di solito, chi ha una partita IVA godrà di un servizio di assistenza da un professionista, primo tra tutti il commercialista di cui non potrà fare a meno. Il fatto di poter provare ad entrare nel mondo commerciale dei videogiochi senza aprire una partita IVA è un indubbio vantaggio, da sfruttare quando si è alle prime esperienze. Generalmente parlando, la partita IVA in se, in quanto codice, è gratuita, ma si porta dietro tutta una serie di spese di cui non parleremo, che la rendono poco appetibile se non si ha già un certo giro di affari o se non si è costretti da altre motivazioni, alcune delle quali sbucheranno in seguito.

Cosa succede, quando si propone un nostro gioco per la vendita ad uno store online? In questo lavoro, useremo Steam come esempio quasi onnipresente, un po’ perché ho esperienza diretta (che non guasta nel mio ruolo di scrittore) un po’ perché Steam, va dato atto, è lo store che pubblica una mole di dati eccezionalmente elevata, in merito a statistiche sulla vendita e sull’uso dei giochi ospitati dalla sua piattaforma.

Un’altra importante precisazione: nei rapporti internazionali, le transazioni tra aziende, anche individuali, sono discretamente complicate. In questo sito non ho la pretesa di sostituirmi a commercialisti o avvocati, ma cerco di dare solo nozioni di massima su quali siano gli aspetti che si vanno ad affrontare nei rapporti con gli store online. Quindi, per scelta, non tratterò affatto i rapporti tra store online e partite IVA, ma mi limiterò solo a dare un’idea di massima di cosa succede nei rapporti con privati che pubblicano solo in forza del loro diritto d’autore.

Registrazione

Quando si propone un proprio gioco a Steam, lo si fa attraverso una piattaforma automatizzata via web. Ci sarà una fase di registrazione che possiamo definire burocratica a cui seguirà una fase più tecnica, legata all’upload dei files del vostro gioco. Per motivi di riservatezza, non posso mostrare schermate del back office di Steam, nonostante ne abbia accesso: lo so, ce chi lo fa, ma non possiamo parlare di legalità ed infrangerla un paragrafo dopo, no? Dicevo: il processo di iscrizione e caricamento non è assolutamente complicato. La parte più ostica è quella relativa al questionario fiscale che, per inciso, è uguale per tutti gli store americani, semplicemente perché vi collegano direttamente con l’IRS, controparte statunitense della nostra Agenzia delle Entrate. Il questionario non è altro che la versione elettronica del modulo W-8BEN-I, specifico per le persone fisiche. Aggiungo anche che è bene masticare un minimo di inglese, ma credo che un programmatore non dovrebbe avere grossi problemi.

A parte le solite cose, tipo nome, cognome e Stato di provenienza, l’unico elemento che potrebbe lasciarvi basiti è il TIN. Di cosa si tratta? TIN sta per Tax Identification Number e non è un codice preciso, ma piuttosto, un’idea. Voi ce l’avete a vostra insaputa. Quindi, a domanda, rispondete pure di si. Successivamente, vi verrà chiesto che tipo di TIN avete: il vostro è un Foreign TIN, ovvero un TIN straniero e non è altro che… Il vostro Codice Fiscale. Scoprirete che non vi vengono applicate tasse sui proventi da diritto d’autore. Ne parliamo dopo.

I proventi delle vendite

In conseguenza del fatto che vi presentate come privati e non avete un’attività formale, Steam si occuperà di tutti gli aspetti della vendita, ivi compreso l’applicazione dell’IVA all’utente finale ed il pagamento agli Stati aventi diritto. Il problema più grosso che dovrete affrontare è che Steam, in quanto azienda straniera, non può fungere da sostituto d’imposte nei vostri confronti. Spiego meglio. Il fatto che non dobbiate gestire l’IVA, non significa che siate esenti dal pagamento delle tasse. Le tasse dovrete pagarle eccome ed, in particolare, nel vostro Paese di residenza: l’Italia. Senza portarla troppo per le lunghe, esattamente come succede per la comune busta paga del lavoratore dipendente, dovrete pagare l’IRPEF sulle somme ricavate. L’IRPEF è l’Imposta sui Redditi delle PErsone Fisiche e si paga semplicemente (si fa per dire) con il modello 730. Vi serve l’aiuto di un commercialista, ovviamente. Il fatto che, alla fonte, non vi siano applicate ritenute sulle royalties è dovuto ad una serie di accordi internazionali che sanciscono proprio che i proventi da diritto d’autore vengono tassati nel Paese di residenza dello stesso. Se Steam fosse stata italiana, avrebbe potuto prendersi carico anche di questo aspetto della faccenda, rendendovi solo il netto di tutta l’operazione commerciale, pagando anche l’IRPEF per vostro conto.

Attenzione alle insidie

Dopo aver fornito un’idea generale di come si instaura un rapporto tra un privato, detentore dei diritti d’autore di un videogioco, e uno store online, mi preme fare un paio di precisazioni. Stiamo parlando del mondo dei videogiochi, un mondo in cui, nel tempo, sono emersi tutta una serie di modi diversi con cui guadagnare soldi. Mi riferisco, in pratica, agli acquisti in app, alla pubblicità, all’abbonamento. In parte abbiamo già risposto a questo quesito, ma è bene ritornarci.

In sintesi, tutti quelli elencati in precedenza, sono considerati servizi e se avete seguito tutto fino a qui, sapete che la risposta è no: non potete utilizzare queste forme di commercio senza partita IVA. Sono solo le royalties ad essere fuori campo IVA, non tutto il resto. Di conseguenza dovrete starne alla larga.

Un altro chiarimento va fatto in merito ai giochi multiplayer. In linea di principio potete crearli e venderli, come gli altri, ma sapete che non potrete chiedere abbonamenti per un eventuale server. Ne consegue che l’unica strategia commercialmente accettabile è quella che prevede le lobbies, ovvero quel genere di multiplayer caratterizzato da sessioni di pochi giocatori in cui uno di loro, di solito il primo ad aprire la sessione di gioco, è anche colui che la ospita più o meno coscientemente, con il suo computer.

Conclusioni: atto I

Con questo articolo, andiamo a chiudere quella che potremmo definire la sezione legale di questo editoriale. Da qui in poi, ci tufferemo in questioni più… come dire? Filosofiche. Dopo tutte le informazioni che avete ricevuto, dopo tutto quello che vi è stato illustrato, se credete di poter fare tutto da soli… Tornate al primo articolo e ricominciate a leggere da capo: non avete capito niente.
L’intento di questo lavoro non è quello di creare persone piene di sé, convinte di poter gestire tutto davvero da sole: internet ne è pieno e non ci serve proprio di fabbricarne di nuove. Casomai, l’esatto contrario. Quando ho tirato fuori leggi e regolamenti vari, c’era un sottotesto in sovraimpressione, per la verità con un alpha prossimo a zero, ma che poteva essere letto aguzzando la vista: il mondo del commercio è complicato. Se conoscete la lingua italiana, dare un’occhiata preliminare alle leggi, non dovrebbe essere un problema: pure quelle sono scritte in italiano.
Chiedetevi, però: cosa c’è in tutte le altre? Ed ecco il vero valore di un commercialista o di un avvocato fiscalista: loro hanno qualcosa che a voi manca: una visione d’insieme. In altre parole, torna quello che continuo a dire in giro per chat: non sei un programmatore se sai programmare in C++, ma lo sei se hai una visione d’insieme di quella che è la programmazione e sei in grado di scegliere lo strumento giusto al momento giusto, quello che ti rende più produttivo e che sembra più pratico per il lavoro che stai facendo. Se ne parlo promovendo ad esempio un mondo a voi più consono, sembra banale. Ecco che, se devi fare un videogioco, probabilmente la scelta migliore è l’uso di un game engine, nonostante è chiaro che potresti scriverlo (in via del tutto teorica) direttamente in linguaggio macchina, ma… sul serio?
La stessa cosa può dirsi degli altri professionisti.

Quindi, sempre ed in ogni situazione, è proprio il caso di fare due chiacchiere con il commercialista, prima di partire con questa impresa. Adesso, però, dovreste saperne abbastanza per poter comunicare con lui, fargli capire davvero quello che vi serve, invece di fare una figuraccia da autentici pirla. Tutto qui.

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