Non si vendono fantasmi

Nell’articolo precedente, vi ho lasciato con una considerazione relativa agli store in generale: sembra che la maggior parte degli sviluppatori che pubblicano sono piccolissime realtà, quando non sviluppatori solitari. Seriamente, ci si chiede se il fatto di iscrivere il proprio gioco ad uno store online implichi una qualche possibilità di riuscita e, visto che alla maggior parte delle persone piacciono i racconti a lieto fine, ne ho selezionati un paio anche io.

Storie di Successo

Ci sono storie di successo nel mondo dello sviluppo indie. Storie di persone che, con pura determinazione, sono riuscite a emergere dal nulla. Per esempio, potremmo parlare di Undertale (2015), un gioco di ruolo sviluppato da una sola persona, Toby Fox, che ha richiesto tre anni per essere completato. Fox ha finanziato il gioco attraverso una campagna di crowdfunding su Kickstarter, raccogliendo oltre $50.000, che ha utilizzato principalmente per mantenersi mentre lavorava giorno e notte al progetto. Tra parentesi, $50.000 in tre anni, sono meno di quanto possa realizzare un operaio generico: voglio dire che questo tizio ha fatto la fame, per un po’… Undertale, comunque, ha ricevuto ampi consensi dalla critica, ha vinto numerosi premi ed è stato nominato per molti altri, principalmente per la sua narrazione innovativa.

Un altro esempio è Papers, Please (2013), creato e interamente finanziato da Lucas Pope. Sebbene il costo esatto del gioco non sia ampiamente noto, si sa che è stato sviluppato utilizzando i fondi che Pope ha risparmiato dal suo lavoro come programmatore sulla serie Uncharted di Naughty Dog. L’importo esatto rimane sconosciuto, ma in molti stimano che probabilmente fosse di una manciata di migliaia di dollari. Come Undertale prima, anche Papers, Please ha vinto numerosi premi ed è stato vicino a vincerne molti altri.

Ci sono altri esempi, ma ho selezionato questi due perché erano veramente a basso budget. Nell’industria dei videogiochi, dove le grandi case di produzione investono milioni di dollari, anche un investimento iniziale di $100.000 è considerato piccolo. Come lo consideriamo un investimento fatto di un computer, software open-source e tanta buona volontà? Perché è questo che caratterizza i solo developer, oggi: sono i game engine, in buona sostanza, che agevolando lo sviluppo da parte del singolo programmatore o artista di buona volontà, alimentando i listini degli store online.

Ciò che spesso non viene detto è che, sebbene questi casi esistano, sono gemme nascoste in una discarica di muri del pianto: devi metterci davvero tanto impegno, per trovare un caso come i due citati prima. Faccio notare, tra le righe, che entrambi risalgono a circa dieci anni or sono… Nel frattempo è passata tanta acqua sotto i ponti, intere alluvioni. Il successo di questa categoria di sviluppatori, insomma, sembra spesso seguire una logica da lotteria piuttosto che il merito. C’è molta fortuna coinvolta. I creatori dei giochi menzionati avrebbero potuto fallire se avessero scelto un concetto di gameplay appena diverso, tanto per cominciare. Non sono in discussione, semplicemente, le loro abilità personali, altrimenti la soluzione sarebbe studiare alacremente, come non ci fosse un domani. Sono sicuro che nessuno sceglie scientemente di creare un gioco con l’intenzione di ridursi ad elemosinare per piazze. Proprio come nelle lotterie, però, di tanto in tanto, qualcuno tira fuori il biglietto vincente con quattro spiccioli e fa il botto, ma succede una volta ogni morte di dinosauri. Per qualche strano motivo, noi ci ricordiamo solo di quelli, mentre dei milioni che il biglietto finiscono per usarlo con scopi meno nobili, ce ne dimentichiamo.

Visibilità

In un mercato come Steam, dove 30 milioni di giocatori accedono ogni giorno, le statistiche suggerirebbero che la semplice pubblicazione di un gioco dovrebbe garantire un certo livello di successo, neanche eccessivamente modesto. Quello che voglio dire è che, di fronte ad una platea fatta da 30 milioni di giocatori (mezza Italia, mica niente…) qualcuno a cui piace il vostro gioco, considerando la variabilità dei gusti della gente, lo dovreste trovare sempre, visto che vendere 1.000 copie del tuo gioco su Steam richiederebbe solo un minuscolo 0,0000333% del totale degli utenti. C’è anche da considerare il fatto che i giochi sono tutti unici, in fondo, e c’è spazio sufficiente perché il singolo giocatore possa acquistare, contemporaneamente, più titoli. Invece e molto semplicemente, non succede. In molti tireranno fuori il problema della visibilità, a questo punto, e non avrebbero nemmeno tutti i torti. E’ chiaro che se non sanno che esisti, non possono desiderare il tuo prodotto né, di conseguenza, acquistarlo.

Questo è il motivo principale per cui, andando in giro per la rete, troverete intere disamine sull’argomento social: Discord, YouTube, Facebook, Twitch e chi più ne ha, più ne metta. Cos’hanno in comune tutti questi nomi? Sono piattaforme gratuite da sfruttare, presumibilmente, per farsi un nome. La maggior parte degli articoli che troverete in internet, sull’argomento visibilità, spinge sul fatto che occorre farsi un nome, farsi conoscere e che un buon metodo per farlo, in modo gratuito ed efficacie, è sfruttare i social. Prendiamolo per oro colato. Scusatemi un attimo, però: sono solo io che passo interi pomeriggi a scrivere codice che poi, magari solo per questioni estetiche o per un filino di prestazioni, non mi soddisfa e finisco per riscrivere da capo, alla ricerca costante di una irraggiungibile perfezione? Detto più semplice, state programmando il vostro gioco e già questo dovrebbe assorbire tutto il vostro tempo libero. Dove lo trovate il tempo di stare dietro ad una o più community? Lo avete mai registrato un video per YouTube? Se lo avete fatto mi sarete testimoni, in caso contrario scoprirete che tra registrazioni andate male, editing, post-produzione e pubblicazione, alla meglio vi siete giocati un intero pomeriggio. Sul serio credete di poter fare tutto questo?

Facciamo un passo indietro. Vi propongo uno scenario alternativo, un esperimento mentale, come li chiamava Einstein, per vedere se riesco a farvi rilassare un pochetto. Diciamo che voi vi occupate solo ed esclusivamente del vostro gioco, una cosa di per se già molto impegnativa. Come ci facciamo conoscere? Semplice: noi mettiamo il nostro gioco su Steam o un altro negozio online e, siccome siamo soci in affari dopotutto, ci penseranno loro. Vi concedo il lusso di controllare, di tanto in tanto, recensioni e critiche lasciate dai giocatori. Già più rilassante come scenario, vero? Non è una vacanza alle Hawaii, ma rispetto a prima, dovrebbe andare molto meglio.

Questo scenario è fantascientifico e, ora, vi spiego, brevemente, perché. Tutti sanno che gli algoritmi dei grandi store tendono a favorire i grandi marchi, giochi per cui è stato speso un notevole budget a livello di produzione e marketing, prodotti che si adattano squisitamente alle esigenze del giocatore finale. Se il vostro gioco è in lingua italiana, lo vedranno solo utenti italiani, tanto per cominciare, ma sarete in fondo alla lista e se avanza posto, dietro tutte le grandi case di produzione. A me, sinceramente, questo atteggiamento non sembra quello di uno store che vuole aiutarvi ad emergere. Se lo volesse sul serio, tenendo comprensibilmente presente anche le esigenze commerciali dello store stesso, almeno un 50% delle impressioni lo destinerebbe a quelli che stanno vendendo di meno, proprio per cercare di sollevarne le sorti. Non funziona così, chiaramente.

Quella dell’uso dei social, sembra più una visione romantica che la realtà dei fatti. C’è un vecchio detto, a proposito: piove sempre sul bagnato. Vuol dire che per fare soldi, servono altri soldi… Quello dei social può sembrare un ottimo argomento, peccato che tutti ricorrano alla stessa tecnica che magari ha funzionato per qualcuno in passato, ma è ormai inflazionata. Pensateci bene: quante volte cliccate su un comando che suona, più o meno, come “segna tutto come già letto”? Pensate che per gli altri sia diverso?

Nasce, quindi, il sospetto che i giochi minori servano a fare mucchio, a dare il senso del grande luna park, quando si mette piede all’interno di uno store online. Carne da macello, insomma. Noi, nel supermercato, saremmo quelli molto in alto o molto in basso nello scaffale, gli ultimi ad essere presi in considerazione. Game engine forniti gratuitamente proprio dalle stesse aziende che gestiscono gli store, poi, rafforzano questa sensazione: vi viene dato l’occorrente per fare prodotti destinati solo a gonfiare il catalogo.

La visibilità, da sempre, si ottiene pagando: parliamo di marketing, ma la chiudo qui perché ci farò un articolo a parte. Sul serio, quindi, c’è il dubbio che tutto lo sdolcinato mondo di slogan che permeano la rete in lungo in largo, questa sterminata produzione di articoli che puntano sul credere in voi stessi, sul fatto che ci sono storie di successo… Si tratta anche questo di marketing: serve a riempire gli scaffali degli store online.

Purtroppo, è anche vero che senza un certo grado di visibilità, siete solo fantasmi: non vi vede nessuno. Tutto il resto è conseguenza. Vi invito a riflettere su questo dato: la maggior parte delle presenze negli store online è fatta da piccoli sviluppatori, ma la maggior parte del fatturato, arriva da poche, grandi case…

C’è un altro parametro che mi assilla, legato direttamente alla visibilità: quando è che si può dire di aver raggiunto un certo successo? Si, insomma: la visibilità è un bel problema, ma ci servirà un metro per misurare se, effettivamente, ce l’abbiamo fatta. Ve ne propongo uno molto semplice e poco pretenzioso, che lascia spazio anche al sacrificio così tanto reclamato dai poeti del web. Semplicemente, dobbiamo guadagnare gli stessi soldi di un operaio medio. Parliamo di una cifra attorno ai €22.000 all’anno nel 2025. Se avete pubblicato e avete guadagnato di meno, chiaramente vi conviene andare a lavorare in fabbrica, sia perché siete più protetti sul piano previdenziale e sanitario, sia perché è più facile. Vi danno anche le ferie, di tanto in tanto…

Non si vendono fantasmi

Nell’articolo precedente, vi ho lasciato con una considerazione relativa agli store in generale: sembra che la maggior parte degli sviluppatori che pubblicano sono piccolissime realtà, quando non sviluppatori solitari. Seriamente, ci si chiede se il fatto di iscrivere il proprio gioco ad uno store online implichi una qualche possibilità di riuscita e, visto che alla maggior parte delle persone piacciono i racconti a lieto fine, ne ho selezionati un paio anche io.

Storie di Successo

Ci sono storie di successo nel mondo dello sviluppo indie. Storie di persone che, con pura determinazione, sono riuscite a emergere dal nulla. Per esempio, potremmo parlare di Undertale (2015), un gioco di ruolo sviluppato da una sola persona, Toby Fox, che ha richiesto tre anni per essere completato. Fox ha finanziato il gioco attraverso una campagna di crowdfunding su Kickstarter, raccogliendo oltre $50.000, che ha utilizzato principalmente per mantenersi mentre lavorava giorno e notte al progetto. Tra parentesi, $50.000 in tre anni, sono meno di quanto possa realizzare un operaio generico: voglio dire che questo tizio ha fatto la fame, per un po’… Undertale, comunque, ha ricevuto ampi consensi dalla critica, ha vinto numerosi premi ed è stato nominato per molti altri, principalmente per la sua narrazione innovativa.

Un altro esempio è Papers, Please (2013), creato e interamente finanziato da Lucas Pope. Sebbene il costo esatto del gioco non sia ampiamente noto, si sa che è stato sviluppato utilizzando i fondi che Pope ha risparmiato dal suo lavoro come programmatore sulla serie Uncharted di Naughty Dog. L’importo esatto rimane sconosciuto, ma in molti stimano che probabilmente fosse di una manciata di migliaia di dollari. Come Undertale prima, anche Papers, Please ha vinto numerosi premi ed è stato vicino a vincerne molti altri.

Ci sono altri esempi, ma ho selezionato questi due perché erano veramente a basso budget. Nell’industria dei videogiochi, dove le grandi case di produzione investono milioni di dollari, anche un investimento iniziale di $100.000 è considerato piccolo. Come lo consideriamo un investimento fatto di un computer, software open-source e tanta buona volontà? Perché è questo che caratterizza i solo developer, oggi: sono i game engine, in buona sostanza, che agevolando lo sviluppo da parte del singolo programmatore o artista di buona volontà, alimentando i listini degli store online.

Ciò che spesso non viene detto è che, sebbene questi casi esistano, sono gemme nascoste in una discarica di muri del pianto: devi metterci davvero tanto impegno, per trovare un caso come i due citati prima. Faccio notare, tra le righe, che entrambi risalgono a circa dieci anni or sono… Nel frattempo è passata tanta acqua sotto i ponti, intere alluvioni. Il successo di questa categoria di sviluppatori, insomma, sembra spesso seguire una logica da lotteria piuttosto che il merito. C’è molta fortuna coinvolta. I creatori dei giochi menzionati avrebbero potuto fallire se avessero scelto un concetto di gameplay appena diverso, tanto per cominciare. Non sono in discussione, semplicemente, le loro abilità personali, altrimenti la soluzione sarebbe studiare alacremente, come non ci fosse un domani. Sono sicuro che nessuno sceglie scientemente di creare un gioco con l’intenzione di ridursi ad elemosinare per piazze. Proprio come nelle lotterie, però, di tanto in tanto, qualcuno tira fuori il biglietto vincente con quattro spiccioli e fa il botto, ma succede una volta ogni morte di dinosauri. Per qualche strano motivo, noi ci ricordiamo solo di quelli, mentre dei milioni che il biglietto finiscono per usarlo con scopi meno nobili, ce ne dimentichiamo.

Visibilità

In un mercato come Steam, dove 30 milioni di giocatori accedono ogni giorno, le statistiche suggerirebbero che la semplice pubblicazione di un gioco dovrebbe garantire un certo livello di successo, neanche eccessivamente modesto. Quello che voglio dire è che, di fronte ad una platea fatta da 30 milioni di giocatori (mezza Italia, mica niente…) qualcuno a cui piace il vostro gioco, considerando la variabilità dei gusti della gente, lo dovreste trovare sempre, visto che vendere 1.000 copie del tuo gioco su Steam richiederebbe solo un minuscolo 0,0000333% del totale degli utenti. C’è anche da considerare il fatto che i giochi sono tutti unici, in fondo, e c’è spazio sufficiente perché il singolo giocatore possa acquistare, contemporaneamente, più titoli. Invece e molto semplicemente, non succede. In molti tireranno fuori il problema della visibilità, a questo punto, e non avrebbero nemmeno tutti i torti. E’ chiaro che se non sanno che esisti, non possono desiderare il tuo prodotto né, di conseguenza, acquistarlo.

Questo è il motivo principale per cui, andando in giro per la rete, troverete intere disamine sull’argomento social: Discord, YouTube, Facebook, Twitch e chi più ne ha, più ne metta. Cos’hanno in comune tutti questi nomi? Sono piattaforme gratuite da sfruttare, presumibilmente, per farsi un nome. La maggior parte degli articoli che troverete in internet, sull’argomento visibilità, spinge sul fatto che occorre farsi un nome, farsi conoscere e che un buon metodo per farlo, in modo gratuito ed efficacie, è sfruttare i social. Prendiamolo per oro colato. Scusatemi un attimo, però: sono solo io che passo interi pomeriggi a scrivere codice che poi, magari solo per questioni estetiche o per un filino di prestazioni, non mi soddisfa e finisco per riscrivere da capo, alla ricerca costante di una irraggiungibile perfezione? Detto più semplice, state programmando il vostro gioco e già questo dovrebbe assorbire tutto il vostro tempo libero. Dove lo trovate il tempo di stare dietro ad una o più community? Lo avete mai registrato un video per YouTube? Se lo avete fatto mi sarete testimoni, in caso contrario scoprirete che tra registrazioni andate male, editing, post-produzione e pubblicazione, alla meglio vi siete giocati un intero pomeriggio. Sul serio credete di poter fare tutto questo?

Facciamo un passo indietro. Vi propongo uno scenario alternativo, un esperimento mentale, come li chiamava Einstein, per vedere se riesco a farvi rilassare un pochetto. Diciamo che voi vi occupate solo ed esclusivamente del vostro gioco, una cosa di per se già molto impegnativa. Come ci facciamo conoscere? Semplice: noi mettiamo il nostro gioco su Steam o un altro negozio online e, siccome siamo soci in affari dopotutto, ci penseranno loro. Vi concedo il lusso di controllare, di tanto in tanto, recensioni e critiche lasciate dai giocatori. Già più rilassante come scenario, vero? Non è una vacanza alle Hawaii, ma rispetto a prima, dovrebbe andare molto meglio.

Questo scenario è fantascientifico e, ora, vi spiego, brevemente, perché. Tutti sanno che gli algoritmi dei grandi store tendono a favorire i grandi marchi, giochi per cui è stato speso un notevole budget a livello di produzione e marketing, prodotti che si adattano squisitamente alle esigenze del giocatore finale. Se il vostro gioco è in lingua italiana, lo vedranno solo utenti italiani, tanto per cominciare, ma sarete in fondo alla lista e se avanza posto, dietro tutte le grandi case di produzione. A me, sinceramente, questo atteggiamento non sembra quello di uno store che vuole aiutarvi ad emergere. Se lo volesse sul serio, tenendo comprensibilmente presente anche le esigenze commerciali dello store stesso, almeno un 50% delle impressioni lo destinerebbe a quelli che stanno vendendo di meno, proprio per cercare di sollevarne le sorti. Non funziona così, chiaramente.

Quella dell’uso dei social, sembra più una visione romantica che la realtà dei fatti. C’è un vecchio detto, a proposito: piove sempre sul bagnato. Vuol dire che per fare soldi, servono altri soldi… Quello dei social può sembrare un ottimo argomento, peccato che tutti ricorrano alla stessa tecnica che magari ha funzionato per qualcuno in passato, ma è ormai inflazionata. Pensateci bene: quante volte cliccate su un comando che suona, più o meno, come “segna tutto come già letto”? Pensate che per gli altri sia diverso?

Nasce, quindi, il sospetto che i giochi minori servano a fare mucchio, a dare il senso del grande luna park, quando si mette piede all’interno di uno store online. Carne da macello, insomma. Noi, nel supermercato, saremmo quelli molto in alto o molto in basso nello scaffale, gli ultimi ad essere presi in considerazione. Game engine forniti gratuitamente proprio dalle stesse aziende che gestiscono gli store, poi, rafforzano questa sensazione: vi viene dato l’occorrente per fare prodotti destinati solo a gonfiare il catalogo.

La visibilità, da sempre, si ottiene pagando: parliamo di marketing, ma la chiudo qui perché ci farò un articolo a parte. Sul serio, quindi, c’è il dubbio che tutto lo sdolcinato mondo di slogan che permeano la rete in lungo in largo, questa sterminata produzione di articoli che puntano sul credere in voi stessi, sul fatto che ci sono storie di successo… Si tratta anche questo di marketing: serve a riempire gli scaffali degli store online.

Purtroppo, è anche vero che senza un certo grado di visibilità, siete solo fantasmi: non vi vede nessuno. Tutto il resto è conseguenza. Vi invito a riflettere su questo dato: la maggior parte delle presenze negli store online è fatta da piccoli sviluppatori, ma la maggior parte del fatturato, arriva da poche, grandi case…

C’è un altro parametro che mi assilla, legato direttamente alla visibilità: quando è che si può dire di aver raggiunto un certo successo? Si, insomma: la visibilità è un bel problema, ma ci servirà un metro per misurare se, effettivamente, ce l’abbiamo fatta. Ve ne propongo uno molto semplice e poco pretenzioso, che lascia spazio anche al sacrificio così tanto reclamato dai poeti del web. Semplicemente, dobbiamo guadagnare gli stessi soldi di un operaio medio. Parliamo di una cifra attorno ai €22.000 all’anno nel 2025. Se avete pubblicato e avete guadagnato di meno, chiaramente vi conviene andare a lavorare in fabbrica, sia perché siete più protetti sul piano previdenziale e sanitario, sia perché è più facile. Vi danno anche le ferie, di tanto in tanto…

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