Divide et impera

Provate a cercare consigli, in rete, e difficilmente troverete un lavoro come questo. La mia intenzione, come mi pare di aver già detto altrove, è quella di essere di aiuto davvero, anche se la cosa dovesse comportare delusioni. Vi sfido a trovare altri lavori così schietti: forse qualcuno ci sarà, ma la maggior parte sembrano essere libri di cucina casalinga, dove non può mancare la ricetta degli spaghetti al ragù e delle uova all’occhio di bue, ma soprattutto del dolce! Tutti amano i dolci! I consigli sono sempre gli stessi e sembra abbiano una specie di potere magico. Non potrete fallire, se vi affidate ai social! In realtà abbiamo già smontato questa tesi, ma pare proprio che, qualunque cosa facciate, se non riuscite ad emergere, deve necessariamente essere colpa vostra. Qui ne analizzeremo di altre.

Il costo d’ingresso, non solo economico

Torniamo a battere sul budget. Fa male, ma anche io sarei in grado di mettere in piedi qualcosa alla Grand Theft Auto, avendo a disposizione un migliaio di artisti ed altrettanti tecnici. Ci riuscirebbe chiunque con un minimo di cervello, semplicemente delegando ai più esperti il compito di organizzare il lavoro. Per noi, invece, i $100 richiesti per iscrivere a store online importanti, come Steam ed Epic Games, sono già un ostacolo. Sarebbe niente se il problema fosse tutto lì. In un mondo ideale, all’atto di pubblicazione di un gioco, voi dovreste fornire i file da consegnare in copia all’utente, un opuscolo che illustra la storia, i comandi da tastiera e mouse, un collegamento a video illustrativi… Insomma: materiale informativo ciclostilabile. Poi, qualcuno interno agli store e che conosce bene i loro sistemi, dovrebbe occuparsi dell’inserimento effettivo dei dati. Non succede così. Ormai tutto è basato sul self-service, persino l’ecocentro locale. Il risultato è che vi tocca imparare come funzionano gli store con cui intendete entrare in affari. Questo significa che, molto probabilmente, riuscirete a seguirne efficacemente un paio e non di più. Abbiamo già contraddetto una delle regole auree della rete, che consiglia di pubblicare su più store contemporaneamente…

Quello che sto sottolineando è che, l’ingresso in uno store, comporta un lavoro aggiuntivo non da poco, oltre all’esborso si cifre dovute per la pubblicazione. C’è il sospetto che questo denaro, in qualche modo, serva per finanziare gli store online, piuttosto che per tenere lontani i troll, come si lascia intendere ufficialmente. Se vuoi tenere lontani i troll, invece di chiedere soldi, puoi benissimo fare, gratuitamente, una cernita dei lavori che intendi pubblicare… Non conosco nessuno, neanche per sentito dire, a cui sia stata rifiutata la pubblicazione del gioco con motivazioni squisitamente tecniche o di gusto. Detto questo, il lavoro per inserire il proprio gioco nei cataloghi degli store, prevede la compilazione di dati commerciali su cui non c’è nulla da ridire, ma anche la creazione di immagini in più formati che saranno utilizzate per presentare il gioco in diverse parti del sito web e l’uso di applicazioni proprietarie per il caricamento dei file nei server. Tutto ciò richiede di dover imparare il funzionamento di una vera e propria applicazione web e di quelle da scaricare sul proprio computer, per la trasmissione degli aggiornamenti. In una multinazionale, la cosa si risolve molto semplicemente assegnando una persona ad ogni store che ne diventa lo specialista, ma voi, da soli, come ve la cavereste?

Il dilemma delle API

Altro consiglio spassionato della rete è quello di fare largo uso delle API fornite dagli stessi store online per aumentare l’integrazione del proprio gioco con la loro piattaforma. In un mondo in cui regnano tecnologie consolidate come JSON e REST API che affiancate da protocolli come HTTPS che garantisco anche sufficiente sicurezza, per qualche strano motivo queste librerie sono create con linguaggi compilati, come C++ e C#. Non ha senso, molto semplicemente. Il web e le tecnologie che lo caratterizzano, sono volte alla standardizzazione, per fare in modo che sistemi diversi possano, in qualche modo, comunicare tra loro. Queste API, invece, sembrano create appositamente per nascondere i loro segreti, ma, e soprattutto, per fidelizzare il singolo sviluppatore. Sono complesse: difficilmente il programmatore solitario potrà stare dietro a tutte ed ecco che le uniche scelte sensate possono essere due: non usarle affatto in modo da avere un gioco che possa essere distribuito su più store, oppure legarsi ad un solo store online.

Servirebbe una standardizzazione in tal senso, qualcosa che permetta di collegarsi con un unico codice a diversi store, come una libreria universale, magari open-source. Penso ad uno standard che permetta a me di creare un gioco, poter accedere sia ad una Steam che ad una Epic Games usando sempre lo stesso codice scritto una sola volta, cambiando solo l’indirizzo del server di destinazione e le credenziali. Difficile pensare che, un giorno, ci si arrivi: gli store hanno tutto l’interesse di mantenersi separati dai loro concorrenti. Vero che Epic Games utilizza librerie che permettono di collegarsi anche a Steam, ma l’integrazione è limitata e parliamo, pur sempre, di codice compilato che non può essere eseguito utilizzando qualsiasi game engine in circolazione, cosa perfettamente fattibile utilizzando, invece, le tecnologie nate squisitamente per il web.

Concludendo

Torna, quindi, un discorso già accennato in precedenza: sembra che tutto l’ecosistema di ognuno degli store online ruoti attorno alla fidelizzazione del singolo sviluppatore. La semplice introduzione di elementi come leaderboards, achievements e cloud, nascondono la volontà di legarsi, morbosamente, lo sviluppatore di turno. Se ci si pensa bene, questi servizi possono essere implementati facilmente: basta un sito web come questo, che gira su WordPress, per crearsi una propria libreria basata su REST API e creare un proprio sistema che preveda questi stessi servizi, ma universali per gli utenti dello stesso gioco, indipendentemente dallo store su cui è ospitato. Chiaramente, quando questi servizi vengono offerti dallo store, il giocatore finisce per pretenderli e, a farne le spese, è lo sviluppatore.

Divide et impera

Provate a cercare consigli, in rete, e difficilmente troverete un lavoro come questo. La mia intenzione, come mi pare di aver già detto altrove, è quella di essere di aiuto davvero, anche se la cosa dovesse comportare delusioni. Vi sfido a trovare altri lavori così schietti: forse qualcuno ci sarà, ma la maggior parte sembrano essere libri di cucina casalinga, dove non può mancare la ricetta degli spaghetti al ragù e delle uova all’occhio di bue, ma soprattutto del dolce! Tutti amano i dolci! I consigli sono sempre gli stessi e sembra abbiano una specie di potere magico. Non potrete fallire, se vi affidate ai social! In realtà abbiamo già smontato questa tesi, ma pare proprio che, qualunque cosa facciate, se non riuscite ad emergere, deve necessariamente essere colpa vostra. Qui ne analizzeremo di altre.

Il costo d’ingresso, non solo economico

Torniamo a battere sul budget. Fa male, ma anche io sarei in grado di mettere in piedi qualcosa alla Grand Theft Auto, avendo a disposizione un migliaio di artisti ed altrettanti tecnici. Ci riuscirebbe chiunque con un minimo di cervello, semplicemente delegando ai più esperti il compito di organizzare il lavoro. Per noi, invece, i $100 richiesti per iscrivere a store online importanti, come Steam ed Epic Games, sono già un ostacolo. Sarebbe niente se il problema fosse tutto lì. In un mondo ideale, all’atto di pubblicazione di un gioco, voi dovreste fornire i file da consegnare in copia all’utente, un opuscolo che illustra la storia, i comandi da tastiera e mouse, un collegamento a video illustrativi… Insomma: materiale informativo ciclostilabile. Poi, qualcuno interno agli store e che conosce bene i loro sistemi, dovrebbe occuparsi dell’inserimento effettivo dei dati. Non succede così. Ormai tutto è basato sul self-service, persino l’ecocentro locale. Il risultato è che vi tocca imparare come funzionano gli store con cui intendete entrare in affari. Questo significa che, molto probabilmente, riuscirete a seguirne efficacemente un paio e non di più. Abbiamo già contraddetto una delle regole auree della rete, che consiglia di pubblicare su più store contemporaneamente…

Quello che sto sottolineando è che, l’ingresso in uno store, comporta un lavoro aggiuntivo non da poco, oltre all’esborso si cifre dovute per la pubblicazione. C’è il sospetto che questo denaro, in qualche modo, serva per finanziare gli store online, piuttosto che per tenere lontani i troll, come si lascia intendere ufficialmente. Se vuoi tenere lontani i troll, invece di chiedere soldi, puoi benissimo fare, gratuitamente, una cernita dei lavori che intendi pubblicare… Non conosco nessuno, neanche per sentito dire, a cui sia stata rifiutata la pubblicazione del gioco con motivazioni squisitamente tecniche o di gusto. Detto questo, il lavoro per inserire il proprio gioco nei cataloghi degli store, prevede la compilazione di dati commerciali su cui non c’è nulla da ridire, ma anche la creazione di immagini in più formati che saranno utilizzate per presentare il gioco in diverse parti del sito web e l’uso di applicazioni proprietarie per il caricamento dei file nei server. Tutto ciò richiede di dover imparare il funzionamento di una vera e propria applicazione web e di quelle da scaricare sul proprio computer, per la trasmissione degli aggiornamenti. In una multinazionale, la cosa si risolve molto semplicemente assegnando una persona ad ogni store che ne diventa lo specialista, ma voi, da soli, come ve la cavereste?

Il dilemma delle API

Altro consiglio spassionato della rete è quello di fare largo uso delle API fornite dagli stessi store online per aumentare l’integrazione del proprio gioco con la loro piattaforma. In un mondo in cui regnano tecnologie consolidate come JSON e REST API che affiancate da protocolli come HTTPS che garantisco anche sufficiente sicurezza, per qualche strano motivo queste librerie sono create con linguaggi compilati, come C++ e C#. Non ha senso, molto semplicemente. Il web e le tecnologie che lo caratterizzano, sono volte alla standardizzazione, per fare in modo che sistemi diversi possano, in qualche modo, comunicare tra loro. Queste API, invece, sembrano create appositamente per nascondere i loro segreti, ma, e soprattutto, per fidelizzare il singolo sviluppatore. Sono complesse: difficilmente il programmatore solitario potrà stare dietro a tutte ed ecco che le uniche scelte sensate possono essere due: non usarle affatto in modo da avere un gioco che possa essere distribuito su più store, oppure legarsi ad un solo store online.

Servirebbe una standardizzazione in tal senso, qualcosa che permetta di collegarsi con un unico codice a diversi store, come una libreria universale, magari open-source. Penso ad uno standard che permetta a me di creare un gioco, poter accedere sia ad una Steam che ad una Epic Games usando sempre lo stesso codice scritto una sola volta, cambiando solo l’indirizzo del server di destinazione e le credenziali. Difficile pensare che, un giorno, ci si arrivi: gli store hanno tutto l’interesse di mantenersi separati dai loro concorrenti. Vero che Epic Games utilizza librerie che permettono di collegarsi anche a Steam, ma l’integrazione è limitata e parliamo, pur sempre, di codice compilato che non può essere eseguito utilizzando qualsiasi game engine in circolazione, cosa perfettamente fattibile utilizzando, invece, le tecnologie nate squisitamente per il web.

Concludendo

Torna, quindi, un discorso già accennato in precedenza: sembra che tutto l’ecosistema di ognuno degli store online ruoti attorno alla fidelizzazione del singolo sviluppatore. La semplice introduzione di elementi come leaderboards, achievements e cloud, nascondono la volontà di legarsi, morbosamente, lo sviluppatore di turno. Se ci si pensa bene, questi servizi possono essere implementati facilmente: basta un sito web come questo, che gira su WordPress, per crearsi una propria libreria basata su REST API e creare un proprio sistema che preveda questi stessi servizi, ma universali per gli utenti dello stesso gioco, indipendentemente dallo store su cui è ospitato. Chiaramente, quando questi servizi vengono offerti dallo store, il giocatore finisce per pretenderli e, a farne le spese, è lo sviluppatore.

Ultima modifica: